Nell’immagine una foto di repertorio del salone Francesco Cirignotta a Milano.
Dalle 7.00 alle 21.00: è il nuovo orario di apertura di un salone italiano. Un arco di tempo lunghissimo, necessario perché dentro si entra in pochi, anche una sola persona, a seconda delle metrature. Fuori, invece, la gente attende di farsi i capelli da 70 giorni ed è scarsamente disponibile a nuove code, anche se virtuali.
In salone tra un cliente e l’altro si procede alla sanificazione di tutto, dal lavatesta al carrello porta oggetti, e anche questo richiede tempo facendo sì che un minor numero di persone riesca a far visita al suo parrucchiere.
Ormai lo sappiamo: in salone si entra solo dopo prenotazione online o telefonica. La gente in questi due primi giorni è stata per lo più ordinata, non si è accalcata in coda fuori dai negozi. Purtroppo, però, a telefono è possibile prenotare ormai solo per giugno: prima non c’è più posto. È il punto di rottura di un fragile equilibrio.
“Non c’è stata nessuna organizzazione”, sbotta Francesco Cirignotta a telefono prima di iniziare la lunga giornata di lavoro nella sua celeberrima barberia sui Navigli, a Milano. “Era logico che le persone si sarebbero riversate come un fiume in piena nei saloni e che la disciplina avrebbe potuto venir meno. Eppure, non è stato fatto molto per evitare affollamenti, anche se tutti sapevano che la prenotazione a distanza non avrebbe retto ovunque. C’è il rischio che le cose precipitino e si arrivi a un nuovo lockdown, l’ultima cosa che tutti noi vogliamo”.
Francesco è preoccupato: lui ha preso una persona che sta organizzando gli appuntamenti telefonici e cercando di tenere faticosamente in piedi un’agenda con centinaia di prenotazioni giornaliere. Ma sa anche che non tutti gli acconciatori, soprattutto adesso, possono permettersi un concierge, la figura che storicamente rende possibile l’impossibile.
“Riconosco la necessità di vedersi dignitosi allo specchio con taglio e colore”, spiega accorato Cirignotta. “Il desiderio di tornare a vedersi come si era è anche un modo per esorcizzare l’incubo che abbiamo vissuto. E capisco che adesso stiamo correndo tutti dietro a mille cose, ma dobbiamo evitare di commettere errori per non precipitare in un’altra chiusura forzata”.
“Come dopo un grande temporale, tutto adesso riprende lentamente. Ci si guarda intorno: chi è più stanco, chi ha la schiena dolente, chi non c’è più. Non è il cassetto che torna a riempirsi a darci coraggio, ma la possibilità dell’incontro umano, anche in salone. Abbiamo solo bisogno di organizzarci e purtroppo, anche questa volta, dovremo fare tutto da soli. Ed è per questo che l’artigiano rappresenta la terza via dell’economia: è colui che non crea problemi, ma trova soluzioni. Ripartiamo da qui, tutti”.